Spotlight - Despite the impressive 30% rally for gold and 70% rally in silver from the March lows, the precious metals are likely still in the early stages of a long-cycle bull market.
In sintesi
- Ora che la campagna elettorale è ufficialmente iniziata, il Presidente in carica probabilmente farà leva sulla ripresa economica, citando gli ottimi dati recenti e la prospettiva di nuovi stimoli per USD 1.000 miliardi (attualmente detenuti dal Dipartimento del Tesoro USA) nei prossimi mesi.
- Dal 1928, quando il partito in carica perde le elezioni, nell’80% dei casi i mercati evidenziano una flessione durante la campagna elettorale; occorrerà pertanto mantenere la cautela se i risultati dei sondaggi non cambieranno nel corso dell’estate.
- Se venisse eletto il candidato democratico Joe Biden, il cambiamento più significativo per gli investitori sarebbe un parziale dietro front sulla riforma delle imposte societarie varata nel 2017. Al momento i mercati puntano molto su una ripresa a V trainata dagli stimoli governativi e dagli utili societari e sembrano quindi non scontare un aumento delle tasse nel 2021.
- Il programma di Biden potrebbe comunque far rientrare la riforma infrastrutturale tra le trasformazioni di lungo periodo in atto negli USA e nelle economie globali, nel quadro dell’allentamento delle misure di lockdown.
- L’elezione di Biden potrebbe allentare le tensioni fra USA e Cina e consentire a Pechino di trasformare l’economia interna tramite politiche più proattive. A livello mondiale, l’ondata di cambiamenti non arresterà l’evoluzione del panorama geopolitico, ma piuttosto le darà un nuovo impulso e sosterrà il re-shoring.
Aumentano le probabilità di vittoria del partito democratico alle elezioni di novembre
Dopo lo scoppio della pandemia di coronavirus negli Stati Uniti, le prospettive di rielezione del Presidente Donald Trump sono nettamente peggiorate, tanto che il mercato delle scommesse sconta le probabilità più basse di una permanenza di Trump alla Casa Bianca da metà 2019.
I sondaggi mostrano che il candidato democratico, l’ex vice presidente Joe Biden, ha guadagnato terreno rispetto al presidente in carica; tuttavia, il gap del 7% tra i due è decisamente inferiore rispetto a fine 2019, nel pieno della guerra commerciale tra USA e Cina, quando Biden era in vantaggio del 10-12%.
Il sistema elettorale statunitense è molto complesso. I cosiddetti Stati banderuola che nel 2016 avevano favorito Donald Trump al momento sembrano preferire lo sfidante democratico Biden (+10% in Michigan e +6-7% in Florida e Wisconsin), una situazione che abbatte le probabilità di rielezione di Trump.
Inoltre, il partito di Biden sembra il favorito per la conquista del Congresso. I Democratici detengono già il controllo della Camera dei Rappresentanti e probabilmente lo manterranno nel 2021. Resta da vedere se i Repubblicani riusciranno a confermare la maggioranza in Senato per poter fare opposizione all’agenda presidenziale democratica in caso di sconfitta.
Attualmente, 7 dei 100 seggi sono contesi tra Repubblicani e Democratici. Per ottenere il controllo di entrambe le Camere del Congresso, i Democratici dovranno conquistarne 4. Poiché secondo i sondaggi i candidati democratici sono in vantaggio del 7-10% per 4 di questi 7 seggi, le prospettive di una vittoria piena del partito democratico con conseguente adozione di nuovi programmi politici sono sempre meno remote.
Mancano ancora quattro mesi alle elezioni, ma al momento il partito democratico può sperare di ottenere sia il potere esecutivo che quello legislativo per la prima volta dal 2008.
Ridurre il divario, strategia 1: Stimoli
La campagna elettorale ufficiale è appena agli inizi e probabilmente il Presidente Trump farà leva sulla ripresa economica per assicurarsi i voti dei suoi fedeli sostenitori a novembre.
Grazie all’allentamento delle misure di lockdown in maggio, l’economia USA ha già evidenziato la stessa inversione dell’attività registrata in Cina ed Europa dopo la fine dell’isolamento.
Tuttavia, i nuovi focolai in Stati importanti come Texas, Arizona e Florida rappresentano una minaccia per la ripresa. Gli investitori comunque sanno che la Federal Reserve (Fed) e il Dipartimento del Tesoro USA dispongono di ingenti riserve da impiegare qualora l’economia nazionale dovesse vacillare.
Nello specifico, la Fed, pur avendo sottolineato la creazione di nuove linee di liquidità a marzo, non ha sfruttato tutti gli strumenti a sua disposizione. Al contrario, il presidente della Fed Jerome Powell ha optato per modalità di sostegno tradizionali, come il programma di acquisto di Treasury e MBS per quasi USD 3.000 miliardi e una comunicazione efficace.
Resta ancora una riserva per stimoli monetari di portata analoga tramite le nuove linee di liquidità create dalla Fed in marzo per contrastare lo shock dell’economia dovuto alle misure di contenimento della pandemia.
Inoltre, negli ultimi mesi le riserve del Dipartimento del Tesoro sono aumentate notevolmente, come si evince dal “conto corrente” (Treasury General Account) detenuto presso la Federal Reserve Bank di New York. Su questo conto transitano le entrate fiscali, gli esborsi del governo federale e soprattutto i proventi delle emissioni di buoni del Tesoro USA sul mercato primario.
Prima dello scoppio della pandemia, il Dipartimento del Tesoro deteneva fino a USD 400 milioni in contanti per la gestione giornaliera dei conti. Nonostante le autorità fiscali abbiano stanziato fondi per USD 2-3.000 miliardi nell’ambito del CARES Act a sostegno di famiglie e società colpite dal coronavirus, il saldo del General Account ha raggiunto quota USD 1.600 miliardi.
Ciò significa che il Tesoro ha emesso Treasury (che la Fed ha indirettamente acquistato) per un valore superiore a quello degli esborsi effettuati di USD 1.200 miliardi. Tali fondi potrebbero essere iniettati nell’economia USA sotto forma di stimoli fiscali qualora l’esecutivo lo ritenesse necessario.
Ridurre il divario, strategia 2: Conflitti geopolitici
Alla luce dello svantaggio nei sondaggi, vi è il rischio che Trump possa scatenare un conflitto internazionale per guadagnare sostenitori.
Le premesse ci sono tutte: l’amministrazione USA sta alimentando le pressioni, al momento ancora modeste, sull’accesso della Cina alle sue tecnologie avanzate e ha aperto un nuovo dibattito sull’accesso di Pechino ai mercati di capitali in USD.
Ricordiamo che gli Stati Uniti continuano a prolungare le esenzioni per il gigante cinese del 5G Huawei, consentendogli di fatto di rifornirsi dai provider USA. Al contempo, l’amministrazione Trump ha aggiunto alcune società della filiera di Huawei alla Entities List, limitando l’accesso di tali aziende a tecnologie avanzate. Il governo americano ha iniziato anche a ridurre l’accesso ai fornitori di chip e dispositivi avanzati, di cui molti con base a Taiwan. Taiwan diventa così strategicamente molto importante per la Cina, alla luce dei suoi piani 5G/high tech, e per gli Stati Uniti, che tentano in tutti i modi di contenere lo sviluppo tecnologico della seconda economia mondiale.
Trump ha deciso inoltre di attaccare la Cina su un altro fronte, quello dell’accesso ai flussi di capitale in USD. La guerra commerciale del 2018-19 aveva già comportato uno spostamento degli investimenti esteri diretti verso la Cina, in quanto le società avevano preferito diversificare l’esposizione a scapito delle filiere Cina-centriche.
Nel secondo trimestre del 2020 il NASDAQ ha introdotto requisiti più severi per la quotazione in Borsa e il Senato ha approvato una legge che di fatto limita le possibilità delle società cinesi di essere quotate negli Stati Uniti.
Pertanto, le aziende cinesi sono sempre più propense a raccogliere capitali offshore a Hong Kong. Tuttavia, malgrado gli USA abbiano annunciato la rimozione dello status speciale conferito alla regione amministrativa di Hong Kong, si attendono ancora nuove misure con conseguenti ulteriori pressioni su questa area chiave per la raccolta di capitali in USD da parte delle società cinesi.
Qualora gli Stati Uniti prendessero altri provvedimenti ostili, la risposta cinese potrebbe essere ben diversa dalle misure valutarie e doganali adottate finora. Nel quadro del programma illimitato di quantitative easing della Fed e della continua debolezza degli scambi globali, gli strumenti a disposizione della Cina (vendita di Treasury USA o deprezzamento del CNY) rischiano di non sortire gli effetti desiderati.
Pertanto, Pechino potrebbe ricorrere a interventi geopolitici non commerciali, spostando così il conflitto su un nuovo campo di battaglia.
Conseguenze della presidenza Biden 1 – Aumento delle imposte sulle società
Prevediamo che Trump farà tutto il possibile per rimanere alla Casa Bianca. Ma in caso di sconfitta, con Biden Presidente la vita degli investitori cambierebbe radicalmente.
In generale, la nuova amministrazione di un altro partito potrebbe riconfigurare alcune politiche chiave.
Dal 1928, in ogni caso di avvicendamento del partito alla Casa Bianca, i mercati hanno evidenziato una certa debolezza prima delle elezioni di novembre. Per contro, quando i mercati sono convinti della vittoria del partito in carica, repubblicano o democratico, nel 92% dei casi l’S&P 500 ha riportato performance positive nei tre mesi precedenti le votazioni.
L’elezione di Biden potrebbe far emergere dei timori circa i profitti societari, in quanto il piano fiscale del candidato democratico prevede una parziale revisione dei tagli concessi da Trump, oltre a un aumento delle imposte societarie dal 21% al 28% e una tassazione minima del 15% per le imprese.
Il programma di Biden contempla inoltre delle misure che farebbero incrementare le imposte sul GILTI (global intangible low-taxed income) dal 10,5% al 21%. Tali misure avevano incoraggiato il rimpatrio dei capitali esteri e di conseguenza i programmi di riacquisto nel 2018.
Secondo i nostri calcoli i mercati scontano già ampiamente le prospettive di un ritorno degli utili societari ai livelli prerecessione nel 2021, senza tenere conto del potenziale aumento dell’aliquota fiscale e dell’ampliamento della base dei contribuenti.
Conseguenze della presidenza Biden 2 – Programma di spesa infrastrutturale/green
Nonostante l’aumento delle imposte societarie, il deficit di bilancio rimarrà probabilmente ampio, in quanto l’inasprimento fiscale verrà compensato da investimenti infrastrutturali e di altra natura volti a conseguire determinati obiettivi economici e sociali.
In particolare, la campagna di Biden ha fatto leva su un programma infrastrutturale studiato per risanare la fatiscente infrastruttura nazionale ma anche per creare posti di lavoro e favorire la formazione. Biden si è inoltre impegnato a rendere il trasporto pubblico più ecologico ed efficiente.
A metà 2020 i deficit di bilancio USA hanno già raggiunto quasi il 10% del PIL, ma gran parte della spesa è stata dirottata nelle misure di sostegno economico erogate dal governo per contenere le perdite di reddito causate dal lockdown di marzo-maggio.
Se la politica fiscale dovesse essere riconvertita in investimenti infrastrutturali di lungo periodo ai fini di un aumento della produttività, il divario tra titoli growth e value in termini di performance e valutazioni potrebbe iniziare a ridursi.
Detto ciò, il programma infrastrutturale di Biden avrà componenti tradizionali (es. strade, ponti, ferrovie), ma contemplerà anche una significativa quota di spesa per sostenere la trasformazione delle infrastrutture americane. Potrebbero dunque emergere nuove opportunità di crescita, proprio come la pandemia di COVID-19 e i lockdown hanno accelerato la trasformazione e la nascita di nuovi segmenti growth in altre aree.
Con l’elezione di Biden, la trasformazione infrastrutturale rientrerebbe tra i cambiamenti di lungo periodo su cui stiamo puntando nell’era post-COVID (cfr. grafico), sommandosi ai mutamenti in atto a livello economico, societario e delle famiglie.
Conseguenze della presidenza Biden 3 – Riconfigurazione delle relazioni internazionali degli Stati Uniti
Un punto centrale e distintivo della presidenza Trump è stato lo slogan ‘America First’ sul piano delle relazioni internazionali. Con Biden Presidente gli USA potrebbero tornare a un approccio più multilaterale, in particolare nei confronti delle democrazie liberali globali.
Diversi “alleati” potrebbero mostrarsi riluttanti data la divergenza di interessi degli ultimi anni. Ma se l’approccio di Biden favorisse anche solo un iniziale disgelo dei rapporti con l’Europa, sarebbe più facile controbilanciare l’aumento del potere economico della Cina.
Sebbene l’UE abbia preso le distanze dalle misure adottate da Trump nei confronti di Pechino, sempre più leader europei esprimono timori circa le politiche cinesi in diversi ambiti. Infatti all’ultimo vertice UE-Cina la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha persuaso la Cina a ‘tenere il passo’ riguardo promesse non mantenute in tema di cambiamento climatico, sovvenzioni per investimenti industriali, commercio e diritti umani.
Inoltre, nelle ultime settimane l’UE ha messo a punto un meccanismo per proteggere i settori strategici europei da acquisizioni aggressive, dopo che la Cina ha fatto incetta di importanti aziende del comparto industriale del vecchio continente.
La Cina, forse indotta dai toni perentori dell’Europa, ha abbandonato la contesa (che durava da 4 anni) con l’UE presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio per la concessione dello status di “economia di mercato”. Se Pechino avesse conseguito tale obiettivo, l’UE avrebbe avuto a disposizione meno strumenti per contrastare la vendita a prezzi stracciati di prodotti di esportazione cinese nel continente. Anche gli USA sono alle prese con una diatriba analoga sullo status della Cina.
La vittoria di Biden potrebbe ridurre le ostilità che hanno caratterizzato i rapporti con Pechino sotto la guida di Trump e dar vita a una nuova partnership multilaterale volta a ridisegnare le relazioni della Cina con il resto del mondo.
Un simile sviluppo sosterrebbe la tendenza al re-shoring di certe filiere iniziata durante la guerra commerciale del 2018-19 e accelerata dalle misure di lockdown; un trend che riceverebbe nuovo impulso ad esempio dalle recenti normative dell’UE sulle acquisizioni transnazionali o dai sussidi concessi dal governo giapponese alle società per il rimpatrio delle attività produttive.
Se, sotto la guida di Joe Biden, lo spettro di un confronto duro con gli USA dovesse allontanarsi, Pechino potrebbe tornare a concentrarsi sui programmi di trasformazione interna. Infatti, nonostante sia stata la prima grande economia a uscire dal lockdown, la Cina è in ritardo nell’adozione di programmi di stimolo volti ad accelerare sostanzialmente la crescita.
Tale stallo è ascrivibile alla comprensibile cautela dovuta alla pandemia ancora in atto in molte parti del mondo, ma anche all’incertezza sulle intenzioni politiche degli USA in vista delle elezioni di novembre. Se tali incertezze svanissero, gli investitori potrebbero tornare a focalizzarsi sulle opportunità cicliche e di lungo periodo offerte dalle riforme cinesi.